L’Abbazia di Sant’Andrea di Borzone

L’Abbazia di Borzone sorge sui resti dell’antica fortificazione bizantina costruita in Valle Sturla, alle spalle di Chiavari.

Ci si arriva agevolmente da Genova o percorrendo la Val Fontanabuona, o uscendo al casello autostradale di Chiavari e, in entrambi i casi, seguendo poi le indicazioni per Borzonasca.

Come si giunge nel centro abitato, sulla destra c’è un cartello segnaletico che indica una stretta strada. Se non si sta attenti si rischia di saltarla.

Le prime notizie certe sull’abbazia

Una bolla del 1120 di Papa Callisto II è il primo documento ufficiale che attesta il possesso all’abbazia di San Pietro in Ciel d’Oro di Pavia.

La tradizione che vorrebbe l’Abbazia inserita nell’ambito della rete di monasteri che faceva capo a San Colombano di Bobbio obbligherebbe a retrodatarla di alcuni secoli, pur senza certezze al riguardo.

Quando vi si giunge attraverso la stretta strada, non si può non rimanere affascinati dall’ambiente in cui ci si trova magicamente calati.

Sembra quasi di riandare al 1184, quando il complesso monastico fu elevato al rango di abbazia e controllava una quindicina di chiese della regione, due priorati e un ospizio.

La sua importanza la si percepisce anche oggi, partendo proprio dalla sua facciata.

Questa pare abbia mantenuto la sua struttura originaria, sia interna sia esterna, del IX secolo, con la caratteristica dicromia dei due materiali impiegati nella costruzione, la pietra e il mattone.

La facciata dell’Abbazia di Borzone

Prima di entrare a visitare la chiesa è bello fare un giro tutto intorno.

Tra l’altro, quando ci sono stata io, c’era un matrimonio, per cui la quiete che speravo di trovare e la solitudine che mi avrebbe garantito qualche buono scatto sono state bruscamente cancellate.

Ma l’esterno è comunque molto bello: la torre campanaria, probabilmente preesistente alla chiesa (VI – VII sec.) ha una struttura difensiva che farebbe pensare ad un’origine bizantina o addirittura romana.

E’ stata comunque completata nel 1243 con l’attuale struttura.

E proprio adiacente alla torre campanaria non si può non ammirare il chiostro-giardino, una volta percorso tutto intorno da un porticato, di cui restano ora solo alcuni pilastri databili fra il XIV e il XV secolo.

Il complesso subì diversi rimaneggiamenti lungo le epoche, ma certamente conserva quel fascino di un luogo fuori dal tempo e, oggigiorno, dalle grandi arterie viarie, lasciando riscoprire momenti di silenzio e di meditazione, sovente sconosciuti.

Il chiostro-giardino e la torre campanaria

Ma ora entriamo in chiesa. Non potevo essere scambiata per uno degli invitati al matrimonio, certamente no: l’abbigliamento mi tradiva…

Ma dopotutto mi son detta che se davo un’occhiata in silenzio, magari non disturbavo troppo…

L’interno dell’abbazia

L’interno si presenta con gli stessi motivi architettonici propri dell’esterno: archetti ciechi e mattoni disposti orizzontalmente a dente di sega.

La straordinarietà del complesso è che la sua struttura originaria era priva di finestre e di affreschi.

E’ fra il XVIII e il XIX secolo, infatti, che si decise di sopraelevarla e quindi di aprire delle finestre, nonché di costruirvi il presbiterio. Anche l’altare maggiore è stato rivisto nello stesso periodo.

Attira l’attenzione il bel tabernacolo in ardesia, a sinistra dell’altare e databile 1513.

Guardandomi intono, vedo un pieghevole contenente alcune informazioni storiche ed artistiche della chiesa, molto utile per dare queste notizie storiche.

Scopro così che l’opera di maggior pregio, il polittico di Sant’Andrea, risalente all’antica Abbazia e attribuito a Carlo Braccesco, è conservato al Museo Diocesano di Chiavari.

Apprendo, inoltre, che si tratta di una tavola di mt. 2,20 per mt. 2,80, divisa in dieci riquadri dipinti direttamente su legno. Al centro sta il patrono Sant’Andrea apostolo con l’abate committente ai suoi piedi, una crocifissione in alto e alcuni santi ai lati.

Una storia antica, un passato che qui rivive e nel quale è bello immergersi.

Quando si esce dalla chiesa, ci si rende conto di come si sia circondati dalla natura. Non ho potuto fare a meno di pensare a come possa essere questo luogo la sera, avvolto nel silenzio, e illuminato da un sapiente impianto luci.

Si deve provare un’emozione forte, visibile appena imboccata l’ultima curva: un salto nel passato, un salto nella nostra cultura e nelle nostre tradizioni, in quel sapiente lavoro che i monaci hanno tessuto e ci hanno tramandato fino ad oggi.

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